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a cura di Geo Magri.

La clausola di protesta è una delle clausole più interessanti e caratteristiche nei contratti dello spettacolo dal vivo. E’ diffusa tanto nei contratti degli artisti lirici, quanto in quelli degli attori o dei ballerini.

La clausola consente al committente di liberarsi dal vincolo contrattuale che lo lega all’artista, quando, nel corso dell’esecuzione del contratto, non lo dovesse ritenere all’altezza del ruolo per il quale è stato scritturato.

Sebbene la protesta sia una delle clausole tipiche del contratto di scrittura teatrale, nella prassi si fa ricorso a essa in casi estremi: normalmente le parti preferiscono sciogliere il rapporto in modo consensuale, senza la necessità di arrivare a un atto forte come l’esercizio della protesta.

Inoltre, difficilmente gli artisti protestati impugnano il provvedimento, poiché preferiscono evitare che la notizia si diffonda con ricadute negative sulla carriera.

Ciò spiega il motivo per cui i tribunali si sono raramente pronunciati su questa clausola e il perché l’istituto sia stato deformato dalla prassi teatrale che tende a utilizzare illegittimamente la clausola, trasformandola in un’arma per liberarsi di artisti che, pur non essendo professionalmente criticabili, risultano sgraditi a registi, direttori d’orchestra o coreografi.

Ma… da dove deriva l’esistenza della clausola della protesta?

La dottrina che si è occupata della protesta vede l’antecedente storico nella consuetudine del “debutto”.

Il debutto aveva il suo fondamento nell’equità: appariva equo, infatti, consentire agli impresari teatrali di liberarsi dal rapporto una volta che si rendesse evidente che l’artista non era adatto al ruolo per il quale era stato scritturato. L’impresario, del resto, quando ingaggiava un artista, non sempre ne conosceva le capacità e, anche quando si trattava di un artista noto e affermato in altri teatri o in altri paesi, l’impresario non poteva essere certo che avrebbe avuto eguale successo di fronte al suo pubblico.

Per questo motivo, si diffuse la prassi di considerare vincolante il contratto tra impresario e artista soltanto una volta superato il debutto e accertato che l’artista scritturato era in grado di sostenere la parte e di farsi apprezzare dal pubblico.

Il legame tra la moderna protesta e la regola del debutto è confermato sia dalla giurisprudenza più risalente sia dalla contrattazione collettiva dei lavoratori dello spettacolo sviluppatasi negli anni Trenta e Quaranta del Novecento.

Alle regole in materia di debutto, quindi, si dovrà fare ricorso per colmare eventuali lacune o per superare dubbi riguardanti la disciplina della clausola di protesta.

Superamento delle prove ed esercizio della protesta

Si discute se il superamento con esito positivo delle prove precluda il ricorso alla protesta.

Il teatro, infatti, già durante le prove ha la possibilità di saggiare l’artista e di formarsi un convincimento sulle sue qualità, dunque non avrebbe senso consentire la protesta una volta cominciate le rappresentazioni.

La prassi attualmente in uso nei teatri italiani, però, non prevede un limite temporale all’esercizio della protesta. Il teatro, in teoria, potrebbe protestare l’artista anche all’ultima recita; soltanto con i modelli di scrittura teatrale proposti dalle associazioni di categoria dei cantanti lirici si è tentato di inserire un limite temporale alla facoltà di protestare l’artista.

Nel caso in cui l’artista venga protestato successivamente alle prove, quando, cioè, il teatro ha già avuto modo di testarne le qualità artistiche, dovranno adottarsi particolari cautele nel valutare la legittimità della protesta.

Il dovere di lealtà e correttezza, risultante dal combinato disposto dagli articoli 1175 e 1375 c.c., infatti, impone al teatro di protestare subito l’artista che reputi inadeguato. Se ciò avviene durante le rappresentazioni (quindi in un momento in cui il danno all’immagine per l’artista è maggiore) il teatro dovrà motivare adeguatamente non solo le ragioni della protesta, ma anche la causa del suo mancato esercizio durante le prove. Ne consegue che il ricorso alla protesta, una volta superate le prove, potrà ritenersi legittimo soltanto in una serie limitata di casi.

Argomenti a sostegno di questa ricostruzione sembrano potersi trarre anche dalla lettura dei contratti collettivi scaduti, i quali, essendo stati recepiti dalla prassi contrattuale, hanno assurto al rango di usi integrativi (art. 1374 c.c.). In proposito, l’art. 10 del contratto collettivo del 1932 prevede che il cantante possa essere protestato liberamente nel corso delle prove, mentre durante le rappresentazioni soltanto in casi «gravi ed eccezionali», qualora vi sia una «manifesta disapprovazione del pubblico» e comunque non oltre le prime tre rappresentazioni.

I soggetti legittimati alla protesta

Poiché la protesta si deve basare su dati oggettivi e su valutazioni artistiche, essa viene di regola subordinata al parere del direttore d’orchestra, che, in quanto soggetto terzo rispetto al committente, ha anche la funzione di garantire un giudizio imparziale sulla performance dell’artista.

Anche se la moderna prassi contrattuale non fa più riferimento al pubblico come soggetto legittimato a esprimere un giudizio sull’artista, deve ritenersi legittima la protesta che trovi la sua fonte nella contestazione della sala.

Ovviamente dovrà trattarsi di una contestazione rilevante, che denoti in modo evidente la mancanza di apprezzamento per la prestazione dell’artista.

La tempistica

Caratteristica molto importante della protesta è la tempestività. La protesta deve avvenire nell’immediatezza del fatto che l’ha determinata e, qualora avvenga durante le recite, prima delle successive rappresentazioni. Nel caso di ritardo si ritiene, infatti, che il teatro abbia rinunciato implicitamente al diritto di protesta.

Il motivo per cui la protesta deve essere tempestiva è duplice.

In primis, il dovere di correttezza e lealtà che grava sulle parti nell’esecuzione del contratto impone al teatro di mettere l’artista immediatamente a conoscenza delle critiche che gli vengono mosse e del fatto che la sua prestazione è valutata in modo insoddisfacente.

In secondo luogo l’artista deve esser messo in condizione di decidere se accettare il provvedimento o, qualora non lo condivida, di poterlo impugnare e, ai fini dell’impugnazione, la distanza temporale dal fatto che ha dato origine alla protesta può rendere difficile provarne l’illegittimità.

La protesta sarà tempestiva anche se comunicata nell’immediatezza al solo agente dell’artista. Questi, infatti, deve considerarsi legittimato a ricevere le comunicazioni riguardanti l’esecuzione del contratto ai sensi dell’art. 1745 c.c.

Forma e motivazione

La prassi contrattuale richiede la forma scritta ai fini della validità della protesta. Sarà quindi sufficiente comunicarla con un telegramma o con un fax, mentre si può dubitare che valga una mail, a meno che non si tratti di una pec.

La motivazione è stata definita come un “elemento essenziale” della protesta che garantisce l’artista dal capriccio del teatro e che rende oggettive e quindi sindacabili le critiche che gli vengono mosse.

L’obbligo di motivazione è il principale obbligo del committente.

La protesta, del resto, non è un atto discrezionale e non può essere usata per liberarsi da un rapporto per il quale non si ha più interesse. Essa deve fondarsi su motivi tecnici e su critiche oggettive alla prestazione dell’artista, le quali devono essere analiticamente descritte. Per questo motivo l’obbligo di motivazione ha importanza centrale.

È appena il caso di precisare che il teatro, una volta rese note le ragioni per cui ha effettuato la protesta, non potrà più ritornare sui suoi passi e modificare i motivi, deducendone di nuovi o mutando quelli addotti in precedenza.

Qualora legittimamente esercitata, la protesta scioglierà il contratto e non genererà alcun tipo di pretesa risarcitoria in capo all’artista; potranno, però, essere richiesti i compensi maturati ed eventualmente un indennizzo per l’attività prestata qualora sussistano i requisiti per l’arricchimento senza causa (art. 2041 c.c.).

L’impugnabilità della protesta

L’obbligo di motivazione fa sì che l’artista protestato, qualora ritenga erronee o infondate le contestazioni, possa impugnare l’atto in sede giudiziale.

Resta ancora attuale, infatti, l’insegnamento giurisprudenziale per cui: «il maestro cui è rimesso il giudizio sulla capacità dell’artista non è arbitro, ma perito, e il suo giudizio può essere annullato e corretto dall’autorità giudiziaria, se lo stimi non conforme a verità e giustizia».

Qualora la protesta venga impugnata di fronte all’autorità giudiziaria, quest’ultima dovrà pronunciarsi sulla legittimità del suo esercizio, eventualmente attraverso il ricorso ad un consulente tecnico, che esprima il suo parere sulla prestazione dell’artista protestato.

Non sembra condivisibile, invece, quell’orientamento dottrinale secondo il quale la protesta può essere impugnata solo per motivi di legittimità, per violazione dei requisiti di forma e di sostanza ma non nel merito, posto che essa sarebbe legata al potere discrezionale dell’impresario.

La protesta, infatti, come si è dimostrato, non è legata al capriccio del committente, ma deve avere fondamento in un elemento oggettivo, che rende la prestazione del cantante inidonea alle necessità del teatro.

La dimostrazione dell’oggettività della protesta e della sua dipendenza da valutazioni tecniche si ha, ancora una volta, leggendo la contrattazione collettiva, la quale non rimette la protesta all’amministrazione del teatro, ma la subordina a pareri tecnici.

Inoltre, se davvero la protesta fosse atto discrezionale del committente e non impugnabile nella sostanza, non si comprenderebbe la ragione di imporre un obbligo di motivazione e di individuazione analitica dei motivi per i quali l’artista è stato protestato.

Se la protesta fosse impugnabile solo per motivi di legittimità, infatti, sarebbe sufficiente comunicare la decisione di protestare, senza specificare in modo analitico le ragioni per cui la protesta avviene.

L’unica ipotesi in cui all’artista sembra preclusa la possibilità di contestare nel merito la protesta è quella in cui essa si fondi su un’aperta contestazione del pubblico, salvo evidentemente il caso in cui la contestazione sia stata organizzata ad arte.

Nel caso in cui la protesta sia illegittima, ad esempio perché tardiva o perché non sorretta da una motivazione adeguata, il giudice potrà condannare il teatro al risarcimento del danno, che consiste sia nel mancato guadagno derivante dall’interruzione del rapporto lavorativo sia nell’eventuale lesione all’immagine dell’artista connessa alla protesta.

Nell’odierna prassi teatrale, purtroppo, non mancano i casi in cui si fa ricorso alla protesta per liberarsi di un vincolo negoziale che non si intende onorare.

Spesso i gravi motivi oggettivi richiesti ai fini della protesta, che affondano in una prassi secolare, vengono sostituiti dal capriccio di un direttore d’orchestra o di un sovrintendente.

L’illegittimo ricorso alla protesta da parte dei teatri, quasi fosse una facoltà di recesso ad libitum, ha un alleato importante nella scarsa propensione degli artisti a impugnare le proteste illegittime per evitare di dare ulteriore pubblicità a un evento spiacevole.

Questa nuova veste dell’istituto, però, non è conforme al diritto.

Appare quindi auspicabile che i teatri ricorrano alla protesta soltanto quando essa è fondata su gravi motivi oggettivi e che gli artisti vigilino sulla legittimità delle proteste, impugnando quelle viziate dall’arbitrio.

E’ parimenti auspicabile che la giurisprudenza, chiamata a pronunciarsi nei giudizi di impugnazione, sappia ricondurre l’esercizio della protesta nell’ambito di quell’oggettività che è indispensabile perché l’istituto possa mantenere il suo legame con l’equità dalla quale origina.

 

 

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